Dopo aver letto l’articolo “Cosa sono i nuovi centri culturali” di Bertram Niessen, pubblicato di recente sul magazine di cheFare, ci siamo detti: quindi anche il Borgo Museo di Pistoia è un nuovo centro culturale!
Ma è così anche per voi? Voi che ne pensate?
L’articolo citato racconta in breve l’evoluzione del paesaggio culturale in Italia, a partire dagli spazi culturali del ‘900 fino ad oggi. Il secolo scorso ha visto tre forme principali di luoghi per la cultura, anzi, tre più una: 1) le istituzioni ufficiali come università, musei, centri espositivi e centri studi; 2) gli spazi di fruizione delle opere prodotte dalle industrie culturali come cinema, sale concerto, librerie, biblioteche, piccoli musei; 3) i piccoli presidi territoriali pubblici o privati legati all’associazionismo, al welfare, ai corpi intermedi, alle confessioni o ai partiti; 4) infine, i centri sociali che, negli anni ‘90, hanno anticipato quello che sarebbe arrivato dopo.
E cosa è arrivato dopo?
Riportiamo di seguito la seconda parte dell’articolo in cui si descrive e definisce il panorama culturale contemporaneo, ovvero quei luoghi per la creazione e diffusione della cultura che sono emersi negli ultimi dieci anni in tutto il Bel Paese, dal nord al sud, dalle grandi città ai piccoli borghi, dai centri urbani alle periferie. Luoghi aperti, dinamici e multidisciplinari che stanno assumendo un ruolo sempre più importante nella vita socio-culturale dei territori e che sono sempre di più, ovunque.
A questo punto vi invitiamo a leggere quanto segue e poi vi chiediamo una cortesia: per piacere, quando avrete finito la lettura, fateci sapere cosa ne pensate e se, secondo voi, la definizione di “nuovo centro culturale” può o no corrispondere anche a Castagno di Piteccio, il Borgo Museo di Pistoia. Commentate, scriveteci, aiutateci a comprendere cosa siamo e cosa possiamo diventare per voi. Grazie! CdP staff
Dall’articolo di Bertram Niessen, pubblicato su cheFare il 17 ottobre 2019
[…]
I nuovi centri culturali
Con la nuova fase di riflusso iniziata a metà degli anni ’00 e la crisi economica e sociale iniziata nel 2007, la situazione è mutata ancora. Il restringimento delle finestre di opportunità per molte carriere classiche nei mondi della ricerca, della cultura e della comunicazione – falcidiate dai tagli costanti, dalla precarizzazione dei rapporti di lavoro e da contesti sempre più senescenti – ha fatto sì che migliaia di persone iniziassero a sperimentare nuove forme di organizzazione e di carriera.
Questo è successo in un contesto reso sempre più complesso dall’espandersi o consolidarsi di nuove tecnologie legate a dimensioni anche molto diverse – dalla manifattura digitale al web 2.0 – che hanno dato il via a configurazioni inedite tra reti, flussi di informazione e intelligenza collettiva e territori. Territori che non erano allo stesso tempo resi più distanti tra loro per l’aumento del brain drain indotto dalla crisi ma anche più vicini: l’ampliamento delle opportunità di esperienze internazionali ha aumentato la possibilità di letture incrociate tra contesti territoriali molto diversi tra loro, favorendo la costruzione di esperienze e competenze ibride.
È con gli anni ’10 che hanno iniziato a diffondersi in tutta Italia esperienze di innovazione sociale e culturale
Su un altro piano, nel moltiplicarsi dei casi di rigenerazione urbana la dimensione culturale è stata spesso definita come uno degli asset fondamentali; se in molti casi si è trattato prevalentemente di operazioni di facciata – guidate dai miraggi della classe creativa come driver di sviluppo e dell’urban marketing come reale possibilità di costruire narrazioni univoche delle città – in altri si è avuta la possibilità di costruire sperimentazioni reali per reti, organizzazioni e comunità culturali.
Ed è con gli anni ’10 che hanno iniziato a diffondersi in tutta Italia esperienze di innovazione sociale e culturale per l’azione combinata di pratiche dal basso, spinta delle pubbliche amministrazioni, innovazione delle reti cooperative tradizionali e tentativi di rinnovamento di diverse tipologie di istituzioni tradizionali, dai musei alle biblioteche.
Il risultato di tutte queste linee di trasformazione è stato l’emergere di una grande varietà di nuovi spazi culturali, definiti variamente come “spazi culturali indipendenti”, “nuovi centri culturali”, “spazi culturali polifunzionali”, “centri culturali di nuova generazione”, etc. Noi preferiamo chiamarli “nuovi centri culturali”.
Con questo termine intendiamo spazi ibridi nati in anni relativamente recenti che producono e distribuiscono cultura in forme peculiari che li distanziano dalle istituzioni culturali tradizionali.
I nuovi centri culturali sono caratterizzati in tutto o in parte dai seguenti elementi:
le dimensioni medio-piccole le distinguono da realtà più grandi – nate all’interno di operazioni di rigenerazione urbana su vasta scala – che soggiacciono a logiche ed economie diverse;
la presenza di ambienti variegati che offrono funzioni eterogenee come biblioteche, librerie, bar, ristoranti, spazi incontri, spazi workshop, laboratori adibiti a differenti scopi (artigianato condiviso, fabbricazione digitale, …), sale concerti, sale proiezioni, spazi espositivi, sale prove, spazi teatrali;
data la loro natura necessariamente situata, a seconda dei contesti in cui operano indagano il contemporaneo attraverso le forme e le pratiche più disparate: residenze artistiche; laboratori di manifattura digitale; progetti di arte pubblica o partecipata; rassegne di arti performative; seminari e panel; cine-forum; spettacoli teatrali; concerti; feste; dj set; gestione comunitaria di beni culturali; festival; presentazioni di libri e riviste; mostre.
hanno la tendenza alla commistione di pubblici diversi, che in alcuni casi si sfiorano appena mentre in altri iniziano a conoscersi ed ibridarsi;
sperimentano modelli di sostenibilità economica innovativi, cercando di ricombinare le opportunità che emergono dal mosaico delle funzioni e dalle opportunità dei territori;
costituiscono spesso un polo d’attrazione per i linguaggi innovativi;
mostrano una tendenza all’internazionalizzazione data dalla elevata circuitazione di figure professionali e oggetti culturali;
hanno la capacità di attivare processi di coesione sociale e inclusione nei territori in cui operano;in alcuni casi, abilitano funzioni generative o attrattive per l’imprenditoria giovanile e per le Industrie Culturali e Creative.
Non necessariamente queste caratteristiche ne fanno una entità “altra” rispetto alle forme dei luoghi della cultura del secondo ‘900 e dei primi anni ’00. Ha senso considerarli, piuttosto, come una delle mutazioni possibili di istituzioni culturali ufficiali, luoghi del consumo culturale, circoli e centri sociali.
Questo perché i nuovi centri culturali sono il punto d’incontro di cruciali istanze trasformative degli ecosistemi culturali e civili, e si sviluppano quindi in dialogo e conflitto costante – complementare e situato – con i territori. Rispondono alle domande di de-standardizzazione della produzione e del consumo culturale, favorendo la moltiplicazione delle opportunità e fornendo occasioni per costruire nuovi legami culturali, sociali ed economici dove la coesione è potenzialmente a rischio di fronte alla complessità del contemporaneo.
Presidi di innovazione civica di fronte alle complessità di nuove demografie, nuovi panorami interculturali, nuovi bisogni e nuovi desideri
Questo non solo perché – al Nord come al Sud, nelle periferie delle grandi città come nelle aree interne – sono partner o promotori di sperimentazioni di innovazione sociale e di welfare sussidiario. Ma anche e soprattutto perché costituiscono presidi di innovazione civica di fronte alle complessità di nuove demografie, nuovi panorami interculturali, nuovi bisogni e nuovi desideri. Nel farlo, sviluppano visioni ed ipotesi operative per rispondere all’assottigliamento dei legami e alla crisi della politica.
È proprio questo a renderli, nella pratica, qualcosa di diverso dall’utopia melensa dei “luoghi della coesione a tutti i costi”. Nelle zone industriali inserite in percorsi di rigenerazione, ad esempio, sono sempre più spesso la pietra di paragone della reale costruzione di senso oltre le pure retoriche del rinnovamento: talvolta promotori, in alcuni casi foglie di fico, in altri ancora protagonisti del disvelamento di logiche estranee a quelle del sociale e della cultura.
È su questo piano, forse ancora più che sugli altri, che sfidano le governance territoriali declinando conflittualmente la domanda di nuove soluzioni politiche ed amministrative per la cultura, siano esse soluzioni inedite pubblico-privato, regolarizzazioni di occupazioni, regolamenti comunali dei beni comuni o micro-innovazioni burocratiche di diverso ordine e grado.
Alcuni osservatori si concentrano soprattutto sul fatto che, nei contesti più terziarizzati, hanno un’interazione stretta con l’ambito dell’innovazione culturale, intesa come l’insieme di pratiche economiche ed organizzative che rispondono alle nuove istanze delle Industrie Culturali e Creative: dalle applicazioni tecnologiche per l’innovazione museale alle forme di finanziamento in crowd per la cultura, passando per i co-working legati alle nuove professioni culturali ed alle sperimentazioni di audience engagement e audience development.
Non è solo una questione di consumi culturali. È una questione di passioni
Al di là delle questioni strettamene tecniche, il punto forse più importante è che i nuovi centri culturali agiscono come piattaforme per la sperimentazione e la circuitazione di nuovi linguaggi, nuove visioni e nuovi contenuti. Sono sempre di più agenzie di trasferimento culturale tra quello che succede “altrove” e il “dietro casa”, dove l’altrove possono essere di volta in volta grandi capitali culturali, spazi digitali, luoghi di provenienza di flussi migratori, altri centri, altri periferie.
Non è solo una questione di consumi culturali. Si tratta, soprattutto, di una questione di passioni. Negli anni in cui la società sembra contrarsi sotto il peso dell’incertezza, dell’anomia e dell’incapacità di scrutare nell’immediato futuro, i nuovi centri culturali sono sempre di più i crogioli alchemici in cui provare a forgiare il senso del contemporaneo.